Lectio Divina
Lc 3,10-18
Ringraziamo il Signore per il dono della Parola di questa III Domenica di Avvento anche detta della gioia, dal latino “Laetare”, che significa appunto gioire, rallegrarsi. Ed è davvero ...
una Parola consolante quella che ci viene donata, perché abbiamo proprio bisogno di vivere nella gioia, nella pace, di recuperare il reale senso di ciò che significa raggiungere questi “status”. Vediamo come la Parola è Luce sul nostro cammino perché ci guida ma soprattutto ci ammaestra: la gioia di cui il Signore vuole appunto ricolmarci, non è quello stato emotivo che facilmente tutti possiamo raggiungere e con altrettanta facilità perdere. Cosa significa dunque questo richiamo a rallegrarsi? Ci illuminano a tal proposito la prima e la seconda Lettura, in cui sia S. Paolo che il profeta Sofonia ci invitano a non angustiarsi per nulla, a non lasciarsi “cadere le braccia”, a non farsi affliggere dalle vicissitudini della vita, spronandoci ad “essere sempre lieti nel Signore” perché il Re d’Israele è in mezzo a noi ed è un salvatore potente! Ecco dunque la differenza: ci si può trovare in uno stato di benessere, di felicità, di serenità perché si è realizzati grazie agli affetti, alle cose che si possiede, al lavoro, alla posizione sociale, stato che facilmente può traballare e crollare perché manca la base fondamentale: il Signore. La gioia di cui Dio vuole colmarci è incarnata in Gesù, la Parola vivente, il Vino buono che porta la vera gioia! Ci dice S. Paolo che se viviamo nella gioia del Signore, la “pace di Dio custodirà i nostri cuori e le nostre menti in Cristo Gesù”. Ma perché custodire? Perché la vera gioia è quella dello spirito che possiamo raggiungere solo se preserviamo i nostri cuori e le nostri menti, da tutto quello che potrebbe inquietarli. E quando ciò succede? Quando non riponiamo la nostra fiducia e speranza, nel cuore di Dio, ma quando ci lasciamo sopraffare da tutto, impiegando il nostro tempo a rimuginare sui nostri pensieri, magari rifugiandoci nei nostri cari o amici, pensando di trovare in loro conforto, rifugio, consolazione, gioia. Ma il Signore vuole ricordarci che è Lui il Papà che si occupa e preoccupa di noi e quando ci dice: “Non temere” è perché vuole infondere in noi luce, la luce della fede per spazzare in noi il buio del dubbio e del vacillamento ed è solo a Lui che dobbiamo “fare presenti le nostre preghiere” e a nessun altro. E allora anche noi lasciamoci interrogare dalla domanda che nel Vangelo, tutti, dalle folle ai soldati, cioè uomini di ogni categoria e condizione sociale, rivolgono a Giovanni per farci capire che tutti siamo fragili e che nessuno può confidare in se stesso: “Cosa dobbiamo fare?”. E noi potremmo aggiungere: “Per raggiungere la gioia di cui parla Gesù?”. Il Vangelo ci dà la risposta: vivere con sobrietà, con carità, ringraziando il Signore per tutto quello che di dona senza esigere “il di più”. L’affanno, la preoccupazione di non avere, di non farcela, ci dona il vero malcontento rendendoci incapaci di lodare il Signore per ogni cosa, dalla più piccola e questo ci rende uomini che non sanno “rallegrarsi”, vivendo da eterni insoddisfatti. Ma il Signore ci invita a guardare a quello che si ha, e non a quello che vorremmo avere, a gioire anche quando non c’è da gioire, a dire “grazie Gesù” perché ci ha chiamati all’esistenza e perché è presente nella nostra vita donandoci la luce della fede, lampada che rischiara la nostra strada. Chiediamo alla piccola e umile Maria di donarci sempre Gesù perché Lui possa diventare il centro della nostra esistenza comprendendo che se “riponiamo solo in Lui la nostra fiducia sempre”, capiremo cosa vuol dire: siate lieti nel Signore. Vieni Signore Gesù!
Allegati
- III_Domenica_di_Avvento_-_13.12.2015.doc Scarica il file